martedì 13 dicembre 2011

I falsi miti canadesi

Il periodo natalizio, festività tanto amata dagli organizzatori e dai partecipanti al noto Family Day di qualche anno fa, é la scelta ideale di noi iconoclasti per sfatare miti e leggende.
Come tutti sapete, il 25 Dicembre é la versione cristiana dei  Saturnali, le festività romane che si svolgevano da 17 al 23 dicembre e che iniziavano con grandi banchetti (il cenone di Natale), con sacrifici (la visita parenti) in un crescendo che poteva anche assumere talvolta caratteri orgiastici (Arcore, Villa Certosa, ecc.).  I partecipanti alle festività usavano scambiarsi l'augurio, accompagnato da piccoli doni simbolici, detti strenne. É tutto vero, ad eccezione della "visita parenti"...
Bene, ecco un breve elenco di falsi miti, legati al mondo canadese, che in realtà non sono proprio come li si immagina:
1)    la tutela e la cura per l’ambiente e l’energia. Niente di più falso, vedasi Kyoto e versioni più recenti. Qui, come detto da un caro amico, l’abitudine é di mettere la polvere sotto il tappeto, la loro fortuna é che il tappeto é verde, verdissimo e molto esteso. Sabbie bituminose, petrolio, foche, gas di scisti, caccia, rifiuti, spreco energetico, chi più ne ha, più ne metta.
2)    la puntualità. É tutto un dire: la puntualità dei canadesi, il rispetto degli orari, ecc. Balle, la puntualità sia in ambito privato che lavorativo é identica a quella europea. Si arriva quando si può e spesso in ritardo.
3)    le tasse. Ce ne sono tante e si devono pagare tutte. Aumentano anno dopo anno, così come i prezzi. Sono tutti arrabbiati con politici, stato e comuni. Troppi eletti, troppe spese inutili, troppi costi, troppe tasse. Tutto il mondo é paese.
4)    il governo. Il Canada é a guida destra, quasi estrema. Il governo conservatore, molto conservatore, ha avuto la maggioranza e per i prossimi 4 anni, che seguono i 3 appena trascorsi, avrà carta bianca.
5)    le armi e la pace. Il governo conservatore vuole liberalizzarle come in USA. Il Canada ha partecipato a tutte le missioni di peacekeeping (Iraq, Afghanistan, Libia) e alcune multinazionali canadesi hanno cercato di favorire l’esilio di Gheddafi e della famiglia del rais della Tunisia.
6)    i mezzi pubblici. Al di là della metropolitana e dell’autobus, i mezzi pubblici sono di un’altra generazione. Il treno ? Inesistente. Il traffico, a Montreal mostruoso.
7)    gli scioperi e i sindacati. Il canada pubblico é nelle mani dei sindacati. Chiedete del servizio di nettezza urbana a Toronto o dei poliziotti di Montreal o degli impiegati comunali di Sherbooke o i voli di Air Canada.
8)    il grande nord. Inuit e Nativi sono una minoranza sfortunata e maltrattata. Lo sfrutamento delel popolazioni e dei territori é una piaga mai sanata.
9)         le vacanze. In Canada e in USA non si fanno vacanze e le aziende sono sempre aperte... cu cu! Anche negli USA le vacanze di Natale alla fine sono 2 settimane, ma guai a dire Buon Natale! Commercialmente é meglio proporre un "Buone vacanze - Season's greetings", meno impegnativo e   adatto a tutte le comunità religiose.
10) ...

Attendo integrazioni e smentite!
Buona Santa Lucia.

martedì 6 dicembre 2011

Il racconto di un padre

Qualche giorno fa ho ricevuto il primo messaggio da Carlo, un lettore del blog, che mi chiedeva un consiglio. 
A me...?!? A me che vivo con tre donne a cui non posso osare di consigliare neppure il gusto del succo di frutta! Questa solidarietà di genere e questo momento di esaltazione mi hanno portato a una simpatia naturale e immediata. Carlo mi ha inviato un articolo che ha scritto qualche giorno fa e che é stato pubblicato su "La Stampa" a fine novembre 2011.
Ho chiesto a Carlo la possibilità di condividere con il blog il suo scritto e Carlo mi ha inviato con grande entusiasmo il suo ok e la versione cartacea dell'articolo.  Ecco la loro storia. Grazie Carlo.


"Tutto comincia dalla frase che vedete qui accanto. E’ rimasta lì appesa in silenzio dietro ai vetri di una porta per un anno, prima che mi accorgessi di lei. Poi, un giorno, mi fermo, la vedo e provo a leggerla: è molto difficile, ma riesco. Una cosa mi colpisce, in particolare. Questa scritta non è messa lì per chi, come me, passa nel corridoio, ma per chi esce dalla stanza: i medici, solo loro quando escono la leggono-aldritto e la leggono così: «Quando curi una persona puoi vincere o perdere, quando ti prendi cura di una persona puoi solo vincere».

Stesso periodo, altra scena, notte, dormiveglia, si apre la porta con delicatezza, Lei entra, passi leggeri, molto leggeri, si avvicina a Lui, si china su di Lui, muove le mani, con sapienza, Lui si agita un poco, Lei gli parla con dolcezza, lo tranquillizza, si alza, e come è entrata, altrettanto silenziosamente se ne esce. Un angelo .. E’ solo un sogno, torno a dormire.

Mesi dopo, giorno, sempre nella stessa stanza, è l’ora della medicazione, Lei, sicurissima, lavora e muove le mani come se non fossero sue (un po’ come quando la nonna non guardava nel pizzicare gli agnolotti). Lui le parla, le racconta le difficili regole di un gioco di carte, Lei ascolta.

Continuano a parlarsi come se fossero a prendere il tè: in questo momento davanti a me c’è il tubicino del cvc che entra nel suo torace, è il momento più delicato, ad altissimo rischio di infezione (tremo sempre in questo momento quando tocca a me fare la medicazione, come una sensazione di sollevare-un-pocoil-velo che nasconde il pulsare della-vita).

Invece quei due... Come se niente fosse. Poi Lei, chiudendo le garze, dice «Cavolo, fossero tutti come te, così allegri e sereni, perché non mi accompagni nelle altre stanze a portare un po’ di buon umore?». Io rimango lì, inebetito e affascinato: in tutti questi mesi non sono mai stato buono a dirgli nulla, ma solo a pensare come fare a togliergli dalla faccia quello sguardo depresso! e invece Lei, in due secondi, non solo gli trasmette una risata, ma rilancia coinvolgendolo in potenziali-ulteriori-risate).

Terzo episodio: cambio di rotta, la malattia come sempre imprevedibile, ha svoltato senza-mettere-la-freccia. I medici ci spiegano come pensano di proseguire. Al termine della spiegazione andiamo tutti da nostro figlio (che da due mesi è chiuso nella stessa stanza) per spiegargli il nuovo percorso.

Attori: nostro figlio, il medico, noi. Il medico gli spiega tutto e come sempre gli chiede se ha domande, Lui risponde di no. E il medico fa silenzio, una lunga pausa di silenzio, in camera non vola una mosca. Solo silenzio, noi molto imbarazzati: ok gli hai detto tutto quello che c’era da dire, chiudiamola qui... Trenta secondi di silenzio totale.

Il medico riprende brevemente a parlare, ripetendosi, senza aggiungere niente di nuovo. Poi ancora silenzio, altri trenta secondi di silenzio: un’eternità. Alla fine dei trenta secondi, nostro figlio fa un cenno e chiede: «Ci sarebbe la possibilità di una pausa a casa?». Era tutto qui, il medico sapeva e aspettava la domanda. Quella domanda.

Il dialogo (dia-logos), questo sconosciuto. Che lezione per noi genitori. Domanda: quante volte parlando con i nostri figli, siamo stati capaci di attendere in silenzio trenta secondi per permettere loro di elaborare e poter così tirarfuori-quello-che-avevano-dentro? nota: per capire quanto sono lunghi trenta secondi di silenzio ho provato a raccontare questo episodio facendo io una pausa di silenzio di 5-6 secondi dopo aver detto «e il medico gli chiede se ha domande». L’interlocutore mi guardava come se fossi diventato scemo (provare per credere).

Siamo al quinto piano dell’Ospedale infantile Regina Margherita di Torino, reparto di Onco-ematologia. Insieme a mia moglie, abbiamo cercato di spiegare con tre brevi esempi come tutto-ilpersonale di un ospedale pubblico si stia prendendo cura di nostro figlio: queste parole, scritte al termine di una tappa di alcuni mesi, di un percorso che prosegue ora in Centro Trapianti, vogliono testimoniare il nostro «grazie» a tutti quelli che stanno dedicando la loro esistenza per la vita di nostro figlio, dei nostri figli.

Medici, infermiere, oss, addetti alle pulizie... Tutti, in ciascuna struttura del reparto (degenza, ambulatorio, DayHospital, Centro-Trapianti), si dedicano ai nostri figli con grande professionalità (e questo, in un centro d’eccellenza, ce lo aspettavamo), ma, ci preme sottolineare, ciascuno sa (è co-sciente) che il suo ruolo è indispensabile per la vita dei nostri figli.

Questo approccio, non arriva dall’alto, non si inventa sui due piedi ne è frutto del caso, ma mostra con chiarezza una strategia che arriva da lontano: più approfondiamo, più scopriamo che da anni tante persone hanno lavorato con entusiasmo professionale per far crescere questo reparto, questo centro che a noi piace chiamare «incubatore-di-vita», dove non si è un numero ma ciascun piccolo paziente è sempre chiamato, per nome e con un sorriso.

Dove tutte/tutti si muovono per cercare il Suo benessere, sempre, giorno-e-notte. Un luogo dove tutti/tutte «danzano» per accompagnarlo verso la vita. Ci piacerebbe infine sottolineare in modo particolare, la presenza delle infermiere giovani che amano, coccolano e curano i nostri figli (neonati o a d o l e s c e n t i , bianchi o neri, ricchi o poveri,), portando nel cuore, dei loro venticinque anni, il desiderio che tutti ce la facciano.

Tornando alla frase iniziale appesa al contrario sulla porta dello studio dei medici: «Quando curi una persona puoi vincere o perdere, quando ti prendi cura di una persona puoi solo vincere».

Questa frase, scritta al contrario, di difficile lettura per noi che veniamo dall’esterno, sembra quasi dirci che è volutamente incomprensibile per chi la legge-da-fuori: per accorgersene e comprenderla ci vuole tempo. O forse soltanto un sorriso."

*L’autore di questo articolo è Carlo Paccagnini, il padre di un bambino ricoverato al Regina Margherita a Torino.